L’inferno di Meloni

Senato, La Russa presidente con 17 voti dell’opposizione.
(il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2022)
Camera a Fontana, leghista filo Putin. Dal Pd agli Lgbt+ “Sfregio all’Italia”.
(la Repubblica, 15 ottobre 2022)

L’inferno di Meloni

Ci sono dei momenti nella vita
nei qual ti sembra persa la partita
e ti senti talmente disperato
da maledire il giorno in cui sei nato.

Non avvien se una donna ti abbandona.
Ti consoli: “Non era quella buona,
in un domani certo meglio andrà
e quella giusta non mi lascerà”.

Non avvien se un figliol ti fa incazzare
perché sdraiato guarda il cellulare
e ogni giorno ti sembra meno sveglio:
“Concorderemo come usarlo meglio”.

Non avviene se sei senza lavoro:
“Con i grillini troverò il tesoro,
grazie al reddito di cittadinanza
lavoro avrò e soldi in abbondanza”.

Non avvien se ti senti qualche male:
“I farmaci, il dottore, l’ospedale
mi daranno la giusta soluzione
e in pochi dì mi sentirò benone”.

Non avviene se la tua squadra perde.
“Non sono proprio tutti delle merde,
ci son l’arbitro, il var e la fortuna.
Ritornerò a tifar dalla tribuna”.

A tutto c’è rimedio a questo mondo,
non c’è mai nulla che ti mandi a fondo.
Quando allora ti senti disperato?
Quando allora rimpiangi d’esser nato?

Quando pensi che c’è Giorgia Meloni,
voluta da milion di creduloni,
che appar sui manifesti lungo i viali,
sulle tivù, sui social, sui giornali.

Eccola mentre blatera in comizio
alternando a momenti di giudizio
annunci di obiettivi sciagurati
con alte grida ed occhi strabuzzati.

Eccola mentre sal da Mattarella
che si accinge a affidare alla pulzella
l’incarico di fare il suo governo.
Ecco La Russa, del Senato il perno,

con baffi e pizzo diavoleschi peli,
raccoglitor del Duce di cimeli,
da sempre fasciston fino al midollo.
Ecco capo alla Camera il rampollo

del leghista Salvini, quel Fontana
di sbandierata fede putiniana,
ultrà cattolico e del Verona
che contro i gay e gli immigrati tuona,

dice cinquanta Ave Maria per giorno
e al rito tridentino fa ritorno.
Ecco il governo di Giorgia Meloni,
ecco l’inferno con i suoi gironi.

Quando da bimbo non andavo a messa:
“E’ un peccato assai grave e si confessa,
se continui così, andrai all’inferno!”
lesto arrivava il cazziaton materno.

Ridevo dei rimbrotti della mamma.
Ora che abbiam della Meloni il dramma
mi son convinto che l’inferno c’è
ed ancor vivo ci son dentro, ahimè!

pubblicato su Domani del 19 ottobre 2022

La zia di Mubarak

Ritratti. Alberti Casellati. Le tre vite di Elisabetta, la messa in piega della Terza Repubblica.
(il Fatto Quotidiano, 14 ottobre 2018)

La zia di Mubarak

Nel lontan quarantasei,
come dono degli dei
che da allora l’han protetta,
venne al mondo Elisabetta,

quella Alberti Casellati
che a cinquanta anni suonati
è arrivata senza scosse
non sbagliando mai le mosse

da avvocata patavina.
A Natal sempre a Cortina
e d’estate in barca a vela
coi quattrin della clientela,

con sentore di Chanel,
bella casa, due gioiel
come Alvise e Ludovica.
Beltà veneta all’antica,

coniuge di Giambattista
avvocato civilista,
ricca di nomi, cognomi,
cameriere e maggiordomi,

nel certame elettorale,
come il padre, è liberale,
fuma light, drinks margarita.
Questa è la sua prima vita.

Cinquant’anni, ha un tuffo al cuore:
ecco l’unto del Signore!
e l’esperta in Sacra Rota
del caiman divien devota.

Da romantica guerriera
ne difende la carriera:
“Dal dì in cui ci siam trovati
mi son detta: “Ha i connotati

per salvar questa Nazione!
e son scesa nell’agone”.
Casellati è coi molossi
contro i magistrati rossi,

è con Previti e Ghedini,
i berlusconian mastini.
Lotta col massimo slancio:
corruzion, falso in bilancio,

evasion fiscal, tangenti,
sono accuse da dementi
di pm assatanati
contro l’uom che ci ha salvati.

Per vent’anni è in gran fermento:
ben sei volte in Parlamento
del caimano pasionaria,
col bis sottosegretaria,

membro laico al Csm,
sono alcune delle gemme
di una splendida carriera
che la vede madre fiera

di una figlia che, voilà!,
viene assunta da mammà
con retribuzion da neuro
di sessantamila euro.

Quando Silvio è condannato
e cacciato dal Senato
perché è un vero farabutto,
in gramaglie veste il lutto

dopo l’invasion nequizia
del Palazzo di Giustizia,
nel difenderlo agguerrita.
Questa è la seconda vita.

Ora, grazie al Salvimaio,
questa femmina d’acciaio,
che nello scalar non scherza,
alla fin giunge alla terza,

presidente del Senato,
mai successo nel passato.
La signora con gli artigli
viene a più miti consigli

e ritorna moderata,
la sinistra evaporata
ne facilita l’azione:
largo alle famiglie buone,

padre, madre e due figliuoli,
sparo libero ai mariuoli,
chi violenta va castrato
perché non sia più arrapato,

guerra ad omosex e affini,
riapertura dei casini,
no alla pillola abortiva.
Grazie a Elisabetta, evviva!,

scanseremo il patatrac
e l’ex zia di Mubarak
accoppiata a Mattarella
ci farà da sentinella.

blog MicroMega, 17 dicembre 2018

Cuomo, il funambolo del vitalizio

Il sindaco Cuomo e il miracolo del vitalizio.
Il 15 settembre scatta l’assegno privilegiato anche per lui, eletto a Portici il 13 giugno.
(il Fatto Quotidiano, 14 settembre 2017)
15 settembre. Oggi è il V-Day, scatta il vitalizio per tutti.
(il Fatto Quotidiano, 15 settembre 2017)
Il capolavoro del senatore Cuomo, tre giorni da fantasma per portare a casa la pensione.
(il Fatto Quotidiano, 16 settembre 2017)

Cuomo, il funambolo del vitalizio

Qui si narra l’avventura
di un piddino che si cura
molto bene i propri affari.
E’ un gregario fra i gregari

dal nom di Vincenzo Cuomo.
Questo nostro valentuomo,
già apprezzato senatore,
per il suo grande valore

vien dal popolo votato
sindaco, terzo mandato.
La città riprende in pugno
addì tredici di giugno.

Dove? A Portici, città
che sotto il Vesuvio sta.
Il legislator però
a Vincenzo dice: “No,

le due cose non puoi fare,
a una devi rinunciare:
sindaco o senatore”.
Cuomo, che è pieno d’amore

per la propria cittadina,
al legislator s’inchina:
“Del Senato farò a meno”,
ma poi viaggia con il freno.

Dalla limpida elezione
alla sua proclamazione
passan trentasette dì.
“La burocrazia è così!”,

spiega con qualche farfuglio.
Giunti quindi al venti luglio
sindaco vien proclamato
e per dire addio al Senato

restan trenta giorni a Cuomo.
Dopo nove il galantuomo
manda la raccomandata
con destinazion sbagliata,

molto sfortuntamente.
Non la manda al Presidente,
il cui ufficio è aperto a agosto,
ma alla Giunta che all’opposto

chiude per la pausa estiva.
La raccomandata arriva
all’ufficio protocollo
il trentuno, dice il bollo.

Quindi Cuomo si è dimesso…
Niente affatto poiché adesso
la convalida ci vuole
ed è chiaro come il sole:

deve intervenir la Giunta.
Qui la Pezzopane spunta
che di Cuomo è grande amica
e riesce a gran fatica

a riunire il comitato,
ma a settembre ormai avanzato.
Giunge il dodici e il Consiglio
tratta Cuomo come un figlio:

“Ti dimetti. Sei sicuro?
Hai pensato al tuo futuro?
Non decidere di fretta,
qualche giorno ancora aspetta.

Va, ci rivediamo qui
entro i prossimi tre dì!”
Cuomo il quindici è tornato:
“Mi dimetto dal Senato!”

uarda che combinazione!
Si è dimesso quel cialtrone,
dopo mille e un artifizio,
proprio quando il vitalizio

è scattato a suo favore.
Fu question di poche ore,
ma alla fine ci è riuscito.
San Gennaro l’ha esaudito.

blog MicroMega, 22 settembre 2017

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