Oca Pro Nobis

Prefazione

di Carlo Augusto Viano

Nella cultura contemporanea manca una critica significativa della religione in generale e delle singole reli-gioni. Si tratta di un aspetto importante della nostra storia intellettuale, presente nella cultura antica, a opera di letterati e filosofi, perfino dei filosofi che poi pretendevano di formulare una loro religione o pro-ponevano pratiche religiose elaborate autonomamente. Il pluralismo religioso del mondo greco-romano favoriva un confronto tra le religioni, in cui era possibile criticare, anche aspramente, credenze e pratiche di questa o quella religione. Poeti e sofisti avevano messo in luce l’arbitrarietà delle immagini antropomor-fiche delle divinità o interpretato in modo non edificante le vicende nelle quali, secondo la mitologia tradi-zionale, essi erano implicati. Anche filosofi come Platone, che aspiravano a fondare una religione, davano un’immagine dissacrante di profeti e predicatori, che pretendevano di indicare la via verso paradisi pieni di delizie. Uno storico patriottico come Tito Livio ci ha dato un’idea dei modi nei quali gli indovini ufficiali sa-pevano adattare i loro responsi alle opportunità politiche o erano costretti a farlo, mentre uno scrittore come Luciano di Samosata ha svelato i trucchi di indovini e santoni. Anche l’ossessione ebraica dell’idolatria, ancorché connessa ai problemi posti dai rapporti del popolo ebraico con quelli con i quali do-veva convivere, alimentava la critica di credenze e pratiche religiose.

Il cristianesimo ha ereditato l’ossessione antidolatrica ebraica, ma l’ha inserìta in un programma che mira-va non a salvaguardare la purezza della religione tradizionale, bensì alla sottomissione dei seguaci delle al-tre religioni, ovunque si trovassero. I cristiani attingevano alla demonologia ebraica per interpretare le pratiche delle altre religioni, riconducendole all’opera del diavolo e dando in un certo senso credito alle loro pretese di effettuare operazioni soprannaturali: ne risultava un’immagine del mondo come teatro della lotta tra potenze soprannaturali. Veniva così a mancare qualsiasi presupposto per formulare una cri-tica radicaleintro 6 delle pratiche religiose, smascherando gli inganno sui quali si costruiscono. Da Erodoto a Lu-ciano gli antichi avevano smontato i trucchi con i quali i profeti simulavano eventi portentosi, per corrobo-rare le strabilianti credenze che proponevano e indurre i seguaci a credere nei loro poteri straordinari. La cultura cristiana reprimeva qualsiasi critica di questo tipo, perché dubitare del potere soprannaturale di qualcuno rischiava di gettare l’ombra del dubbio anche su Gesù e i suoi eredi. Soltanto gli eredi dell’aristotelismo, come Pietro Pomponazzi, sono riusciti a tener viva la tendenza a svelare le imposture religiose, partendo dall’idea che l’ordine naturale rende impossibili i miracoli. Gli impostori, cercando di far credere a fatti mai accaduti o simulati con inganni, carpiscono la fiducia delle persone per interessi privati o per fini pubblici, cioè per indurre comportamenti collettivi. Machiavelli e i suoi eredi hanno messo in luce l’utilizzazione delle imposture religiose come strumento di governo, aprendo la possibilità di considerare le tre figure fondamentali delle religioni di ceppo ebraico, Mosè, Gesù e Maometto, come impostori. Era la ripresa della critica religiosa ben praticata nell’antichità, con la quale la cultura antica aveva smascherato profeti come Pitagora o Apollonio di Tiana, ma che era servita ai dotti pagani anche per smascherare le imposture cristiane, a cominciare da quelle attribuite a Gesù. La critica dei miracoli e delle imposture che ne derivano avrebbe costituito un aspetto fondamentale dell’illuminismo e dei deismo moderni, segnan-do profondamente la cultura europea seicentesca e settecentesca. Illuministi e deisti si illusero di creare una religione razionale, che non avesse bisogno di miracoli né di imposture, trasformando la divinità in una specie di sorvegliante lontano sull’ordine naturale delle cose o in un disinteressato legislatore morale. Le cose sono andate poi in tutt’altro modo e, alla fine, sembrò che soltanto l’ateismo potesse mettere al si-curo dalle imposture religiose.

L’ateismo moderno ha conosciuto due varietà. La prima è cresciuta sull’idea che l’ordine dell’universo, collegato nelle religioni razionali all’idea di un dio immaginato come un orolo-giaio, capace di costruire un meccanismo in grado di funzionare da solo, non ha mai bisogno, né per in-staurarsi né per conservarsi, di una divinità onnipotente. La seconda varietà, che si avvaleva soprattutto dei suggerimenti della biologia e in particolare della teoria dell’evoluzione, partiva dall’idea che il mondo vivente, stimolo principale delle istanze religiose, fosse retto essenzialmente dal caso e perciò non potes-se far posto a un’entità cui si attribuiva il potere di dominare la casualità e di indirizzarla verso una fine. En-trambe queste forme di ateismo hanno svolto un’utile critica delle credenze religiose e delle falsità in esse contenute, ma si sono spesso espresse in forme concettuali rigorose e asettiche, efficaci nel mostrare l’arbitrarietà delle dottrine incorporate nelle fedi religiose, ma meno interessate a svelare le imposture delle quali quelle fedi si servono.

Nella cultura ottocentesca, accanto all’ateismo “maggiore”, si è sviluppa-ta una critica religiosa in un certo senso “minore”, spesso etichettata come anticlericalismo. In realtà an-che la critica all’organizzazione ecclesiastica delle religioni ha avuto due varietà, delle quali una non assimi-labile alle forme “minori” di anticlericalismo e connessa piuttosto alle dottrine ateistiche. In questa varietà i preti erano visti soprattutto come agenti del potere politico o di quello sociale delle classi dominanti: era la posizione sociale del clero, più che le sue pratiche, ciò che la critica intendeva colpire. Questo tipo di an-ticlericalismo “ideologico” ha contribuito a screditare l’anticlericalismo minore, e ingiustamente. L’anticlericalismo ha avuto un’illustre tradizione anche in quella che è considerata la storia intellettuale del mondo occidentale ed è vissuto perfino all’interno del cristianesimo. C’è un anticlericalismo medievale, che è stato spesso represso e per questo non ha potuto lasciare tracce vistose, ma esso è emerso nell’umanesimo rinascimentale, raggiungendo espressioni ragguardevoli negli umanisti italiani, in Erasmo, in Machiavelli e in Guicciardini. E una componente anticlericale era presente nella cultura religiosa da cui è nata la riforma protestante.

Proprio il clima di forte repressione religiosa esercitata in Europa dalla Riforma e dalla Controriforma ha relegato in secondo piano l’anticlericalismo, costringendolo a esprimersi in forme clandestine o a dissimularsi. Ciò ha contribuito a nascondere parzialmente i contenuti anticlericali dell’illuminismo e a dare una veste dottrinale all’ateismo o ad accompagnare la critica al clero con l’invenzione di una religione civile o razionale. Dopo le delusione nei confronti delle religioni artificiali, nella cultura liberale e socialista dell’Ottocento, l’anticlericalismo, relativamente libero da ideologie globali, ha potuto esprimersi con indipendenza e creatività. È così emersa la vena anticlericale che aveva percorso la cultura moderna e che ha dato vita ai movimenti ottocenteschi per la secolarizzazione della vita civile. Nell’anticlericalismo ottocentesco ha potuto avere pieno riconoscimento la vena umoristica e satirica, che ha smascherato e messo in ridicolo gli atteggiamenti del clero e gli strumenti usati dai preti per far valere le loro imposizioni religiose.

La cultura del Novecento ha subito un forte regresso da questo punto di vista, perché ha visto il ritorno di atteggiamenti di sottomissione alle culture religiose. I movimenti ottocenteschi collegati alla costruzione delle nazioni erano stati spesso accompagnati dalla promozione di forme di vita secolarizzate, perché la nazione si era configurata come l’entità capace di proteggere i suoi membri da im-posizioni, che non fossero quelle fondate sull’identità nazionale. Ma i nazionalismi novecenteschi hanno attenuato il legame con la tradizione liberale, veicolo delle istanze laiche e anticlericali: è sembrato che an-che le nazioni dovessero avere una sanzione religiosa e spesso è parso che la cosa più agevole fosse attin-gere alle religioni correnti. È significativo che lo stesso Benedetto Croce designasse il proprio liberalismo come una “religione della libertà”. E quando i nazionalismi novecenteschi presero la via dei totalitarismi, le chiese furono generose nel sostenerli, ricevendo in cambio protezioni, privilegi e persecuzioni dei dissi-denti. Ma anche quando, dopo la Seconda Guerra Mondiale, i regimi totalitari sono scomparsi dal mondo occidentale e il laicismo liberale ha riconquistato prestigio, l’anticlericalismo e la critica delle religioni non ha più ripreso vigore. L’anticomunismo, che ha segnato i regimi democratici occidentali durante la guerra fredda, ha generato alleanze tra la cultura clericale e i partiti più o meno liberali e democratici, facendo dimenticare l’appoggio offerto dalle chiese ai regimi fascisti e nazisti e la vocazione autoritaria dei movi-menti religiosi. La cultura di sinistra, che dovrebbe essere la sede naturale della critica alle religioni e ai loro atteggiamenti clericali, ha invece spesso assunto un atteggiamento morbido nei confronti dei partiti di ispirazione religiosa e delle pretese ecclesiastiche. A orientarli in questo senso sono valse non soltanto ra-gioni di opportunità politica, alla base di alleanze di governo, o la preoccupazione di respingere l’ateismo di stato di tipo sovietico, ma anche ragioni ideologiche interne: sembrava che le religioni trasmettessero una cultura improntata alla solidarietà e capace di costituire un’alternativa all’ideologia borghese, ispirata ai principi del capitalismo e del liberalismo individualistico.

Ancora oggi, dopo che i temi liberali sembrano tornati di moda e le vecchie divisioni imposte dalla guerra fredda paiono scomparse, le debolezze intellet-tuali nei confronti delle religioni si sono conservate. Il liberalismo populistico dei movimenti messi in piedi da Berlusconi sono sfacciatamente clericali, perfino più della vecchia Democrazia cristiana, mentre la for-mazioni più o meno democratiche o di sinistra sono, nella migliore delle ipotesi, timide, sia perché hanno fatto propria l’eredità dei movimenti clericali, sia perché amano, per ragioni intrinseche, la cultura cattoli-ca. Questi lasciti pesanti ci hanno privati della capacità di formulare critiche efficaci e mordenti delle cre-denze religiose e degli atteggiamenti del clero. La cultura laicista ha sempre giustamente sostenuto la ne-cessità di professare il massimo rispetto per la libertà di tutti e per le persone, ma ha interpretato questi impegni come vere e proprie autocensure, come se essi impedissero di esercitare la critica più radicale delle credenze professate dalle persone, delle pratiche da esse proposte e delle loro pretese.

intro 9Non bisogna dimenticare che i cattolici non hanno mai accettato le regole fondamentali degli ordinamenti liberali, secondo le quali le condotte religiose possono essere liberamente propagandate e seguite, ma mai impo-ste. Da parte loro i liberali hanno dimenticato che uno dei compiti della cultura liberale consiste nello sma-scheramento delle forme attraverso le quali le imposizioni religiose cercano di dissimularsi come proposte laiche, condivisibili e giustificabili con ragioni indipendenti dalle credenze religiose. I cattolici hanno sempre gradito e utilizzato la libertà garantita loro dagli ordinamenti liberali così come l’atteggiamento di rispetto nutrito nei loro confronti, ma non hanno mai ricambiato questi riconoscimenti con qualcosa di analogo. La Chiesa cattolica ha sempre sostenuto la propria superiorità su ogni altra professione religiosa e ha sempre preteso di disporre del monopolio della verità; e, anche quando è sembrata aprirsi al riconoscimento della libertà religiosa, ha sempre visto nella religione la destinataria privilegiata della libertà. I laici sono sempre stati considerati dei peccatori, nei confronti dei quali forme di rispetto potrebbero essere pericolose con-cessioni a forme di vita viziose.

Per queste circostanze è venuta meno la letteratura satirica nei confronti delle religioni e dei loro cleri. Perciò è particolarmente apprezzabile la proposta costituita da Oca pro no-bis, che rappresenta una novità e rompe un tabù. Essa mette in scena con disegni, prose, versi e musica idee e atteggiamenti correnti della chiesa, prendendo di mira soprattutto tre cose: le credenze arbitrarie della dottrina cattolica, la pretesa degli organi ecclesiastici di sottrarsi alla solidarietà nazionale per conser-vare privilegi economici e le regole sessuali, che i preti pretendono di imporre a tutti attraverso leggi dello stato. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II e il pontificato di Giovanni Paolo II la chiesa è sembrata di-sposta a rivedere alcune delle proprie posizioni, a riconoscere errori commessi e addirittura a chiedere perdono alle vittime. Nessuno intende sottovalutare l’importanza culturale di questi fenomeni, ma gli au-tori di Oca pro nobis hanno appuntato l’attenzione su un altro aspetto, spesso trascurato. Quasi sempre le correzioni apportate dagli organi ecclesiastici hanno riguardato il passato e hanno presentato gli errori commessi come applicazioni scorrette di principi rimasti inalterati. Non soltanto temi fondamentali del cri-stianesimo non hanno subito revisioni, ma correzioni e richieste di perdono si sono limitate al passato e non sono mai state accompagnate da impegni a non ripetere più le nefandezze commesse. Anzi, quando chiese perdono per ciò che secondo lui cardinali sprovveduti avevano indotto a fare a Galileo, Giovanni Paolo II si affrettò a dire che i biologi avrebbero dovuto sottomettersi al giudizio dei papi, che di meccanica magari no, ma di vita se ne intendono e sono lì a evitare che qualcuno cerchi di cacciare l’anima dal novero delle cose esistenti.

Oca pro nobis è un buon sillabo, per usare un termine caro alla cultura ecclesiastica, delle imposture della dottrina cattolica, cioè delle cose non vere in essa contenute e imposte per indurre le persone a riconoscere i poteri speciali del suo clero e a seguirne i precetti. Si tratta anche di un esercizio di mancanza di rispetto per chi non ne ha per il buon senso e la libertà di scelta delle persone, ed è un sil-labo in versi, musica e figure, gli strumenti classici con i quali per secoli si è cercato di incantare le menti umane.

Questo Libro

L’intento serio, e lo scopo degli autori, è dare un piccolo contributo a decattolicizzare questo paese – cosa indispensabile per arrivare a uno straccio di stato laico – mostrando quanto sia sprovvista di fondamento, anzi risibile, la pretesa della Chiesa cattolica di candidarsi a religione civile e guida morale della nazione attraverso l’imposizione dei suoi precetti a tutti i cittadini, credenti e no.

La Chiesa non ha titolo per farlo data la sua storia per nulla edificante, costantemente segnata da intolleranza e da violenze; dati i suoi comportamenti, che rinnegano quotidianamente gli stessi valori predicati a parole; e data soprattutto la sua dottrina, dalle inverosimili “verità di fede” all’insensata morale sessuale.

Si tratta di una dottrina in buona sostanza falsa, contraddittoria, irrazionale, lesiva di fondamentali diritti umani o, nel migliore dei casi, di un insieme di correzioni raffazzonate per adeguarsi al mondo moderno, ma senza ammettere di aver in precedenza sbagliato, perché altrimenti cade la favola dell’infallibilità.

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